Carne e metallo, da questo contrasto nasce l'idea alla base di Robocop, dalla materia morbida e fragile che si contamina con quella dura, era la pietra angolare del film originale e l'unica cosa di quel capolavoro che in questo remake moderno non viene ripresa. A Josè Padilha, infatti, interessa il limite oltre il quale occorre spingersi per far rispettare la legge in casi estremi e cosa l'oltrepassare questo limite implichi. Lo aveva dimostrato in Tropa de elite e per questo è stato probabilmente scelto per il remake di Robocop che nelle sue mani diventa un film estremamente politico, in cui gli Stati Uniti del futuro prossimo sono una versione esasperata di quelli odierni e nel quale l'avanzata tecnologia che rende possibili i robot crea un divario con il resto del mondo dalle conseguenze spaventose.
Videocamere di sorveglianza per strada, identificazione del volto e continue intercettazione delle conversazioni e dei dialoghi da parte della polizia. Il vero non detto di questo film è come questo futuro lievemente distopico lo sia nella misura di un'invadenza fomentata dalla scusa del mantenimento dell'ordine. Forse la sua dimensione più interessante.
E la scelta del ricorso all'extrema ratio della sorveglianza robotica (che Padilha più volte mette in relazione al suo refente reale più vicino, i droni usati in guerra), è sempre ripresa come l'elemento disturbante e alieno in mezzo all'umano. Sottolineato da pronunciati rumori meccanici, fatti per stonare negli ambienti in cui sono inseriti, pensati per inquietare nell'avvicinarsi all'umano ma esserne molto diverso Robocop del 2014 sembra sapere quali siano i punti di forza del film originale ma troppo spesso sceglie di ignorarli.