Drammaticamente sdoppiata dal trauma della perdita, la psiche di Aaron lavora in sintonia con il mezzo del cinema (e viceversa), subendo l'impressione -tipica del lutto nei suoi primi stadi- di avvertire ancora la presenza del fratello scomparso, di persistere a vederlo (come persistono i fantasmi degli attori sulla pellicola), fino a crederlo vivo, in virtù del patto che soggiace ad ogni fiaba cinematografica per cui se credi davvero in una cosa prima o poi questa si avvera. La favola nera del mostro marino che inghiotte i bambini e terrorizza la città non è dunque che l'aspetto più superficiale del meccanismo narrativo, declinato in forma di ossessione.
E se non sempre l'estrema semplicità e linearità dello svolgimento riescono a coinvolgere del tutto, l'immagine finale ripaga di tutto ciò che è mancato prima, svelando in pochi secondi, e senza bisogno di commento, lo iato su cui si fonda Il Superstite , tra chi vive l'immaginario fino alle estreme conseguenze e chi sta soltanto a guardare.