Ewa, polacca fuggita in America sperando nell'aiuto della zia già sistemata a Brooklyn, all'arrivo è stata separata dalla sorella messa in quarantena per la tubercolosi. Da quel momento l'unico pensiero della ragazza è recuperare la sorella, mentre l'unico fine dell'impresario è di tenerla vicino a sè nonostante l'ingerenza del cugino illusionista.
In tutto il cinema dell'americano di origini russe James Gray, corre sotto la forma rassicurante del genere, il senso della famiglia come nucleo originario e gabbia, affetto e costrizione. La fuga dalla famiglia appare al cineasta come un atto al tempo stesso necessario e necessariamente portatore di dolore e sventura (è accaduto prima degli eventi di I padroni della notte, sta per accadere in Two lovers). Ma l'intelligenza di Gray sta nel non affrontare mai il tema direttamente lasciandolo in secondo piano a condizionare gli eventi. Come nella vita.
Questa volta il legame che lega una sorella all'altra segna il destino di quella che è riuscita ad entrare in America (attirata dalla possibilità di un aiuto da parte della zia), coinvolgendola in un giro prima di prostituzione e poi di passioni che sfociano nel dolore morale e fisico (nei pianti, nelle botte e poi nel sangue). Nel melodrammone d'epoca che è The immigrant, tutto colorato sui toni del seppia e giocato (come regola vuole per i melodrammi) su volti tempestati di preoccupazione e dolore, sul giudizio della società, sui tradimenti degli affetti cari e sulle ingiustizie subite, quel che conta non è più l'intreccio sentimentale o lo struggimento, quanto il percorso di purificazione.