Kim Ki-duk se la sta ponendo sicuramente, con ancora maggior forza, da dopo la crisi documentata con Arirang. La risposta che emerge dalle tre opere posteriori alla crisi è quella di un animo esacerbato da una realtà violenta che non riesce più a sopportare e che intende denunciare. Così come denuncia le falsità e le omissioni seguite al naufragio di un'imbarcazione che ha causato una strage in Corea del Sud portando sugli abiti con grande evidenza la scritta "La verità non può annegare".
Il problema nasce però, in questa e nella precedente occasione (Moebius), da un ritorno ancor più esacerbato alla efferatezza che innervava il suo cinema delle origini. Se però all'epoca si trattava di una palestra estetica in cui mettere alla prova le proprie qualità di narratore per immagini ora si rischia il manierismo in parte fine a se stesso.
È come se la fase inaugurata con Primavera, estate, autunno, inverno e primavera ancora e proseguita con masterpieces come Ferro 3 si fosse inaridita in favore di un cinema della crudeltà che a tratti si compiace di quanto intende denunciare.