Dove The Raid: Redemption era la cronaca a colpi di arti marziali di una battaglia tra guardie e ladri svolta nell'arco narrativo di ventiquattro ore, il sequel parte da quella conclusione ma spazia su diversi anni della vita di Rama, raccontando la sua caduta negli inferi della malavita e la sua difficoltosa risalita assetata di vendetta e di giustizia. I tempi si dilatano quasi inevitabilmente, specie in una prima parte tesa a (ri)costruire il background dei personaggi e a preparare la tensione per l'escalation finale: che è progressiva, non improvvisa, ed evita fino all'epilogo il pattern marziale più consueto dell'eroe che affronta in sequenza villain di abilità crescente.
Le sequenze di lotta cercano ambientazioni nuove - il carcere e la lotta nel fango immortalata dall'alto - o si servono di elementi spurii - armi da fuoco o da taglio - per preservare al meglio la purezza del gesto marziale in vista dello showdown, la resa dei conti, in cui il cinema action raggiunge forse il suo apice contemporaneo. È difficile, se non impossibile, chiedere di più in termini di spettacolo a un cinema che sfrutta al massimo il potenziale di campioni di silat e stuntmen temerari, di un budget che consenta riprese ardite e impensabili - la sequenza di lotta nell'automobile, oltre qualunque legge della cinetica - e di un'inventiva che riesca a caratterizzare ogni singolo villain, ogni singolo duello, dal virtuoso delle mazze da baseball (un po' I guerrieri della notte e un po' Kill Bill) alla killer letale con i martelli da falegname (ancora Kill Bill e Matrix).