Sempre più spesso le commedie (in particolare quelle made in Usa) stereotipizzano situazioni e personaggi alla ricerca della risata fine a se stessa. Una risata cioè che non lasci alcuna traccia dopo la visione del film ma risulti solo come sollecitazione puramente epidermica, come un solletico autoreferenziale. Ben venga quindi un film che non rinuncia alla caratterizzazioni (avendo a disposizione Ed Helms e John C. Reilly non avrebbe potuto essere altrimenti) ma ha sempre presente dinanzi a sé l'umanità dei personaggi che porta sullo schermo. Tim non è uno stupido giovane uomo della provincia. È, molto più semplicemente ma anche molto più realisticamente, un adulto apparente. Cioè qualcuno che non si è mai liberato non tanto del bambino interiore (che ha fatto bene a tenersi stretto) quanto piuttosto di uno sguardo infantile nei confronti del mondo. Il microcosmo dell'hotel in cui si tiene la convention gli apre gli occhi sulla realtà e trasforma il suo inerme stupore in consapevolezza. Il processo avviene innescando buffe situazioni e smascherando i bad guys ma il grottesco e la farsa di bassa lega sono costantemente banditi. Si veda ad esempio il personaggio interpretato da Ann Heche, una madre con figli che vede l'incontro annuale non come una lotta per il piccolo potere di una società di assicurazioni quanto piuttosto come un'occasione per quelle trasgressioni che le possono rendere poi sostenibile la quotidianità. Incontrando lei Tim scopre l'incertezza di un sentimento che finora era solo rassicurante routine e comincia a crescere. Come questo film che ha due qualità in particolare: l'onestà nei confronti dello spettatore e la misura.