Appena uscito di prigione, Ali pensa solo a recuperare il tempo perduto assieme alla moglie e alla figlia di sei anni. I turni di notte come guardiano presso una fabbrica di automobili gli impediscono di essere costantemente presente, ma Ali cerca comunque di fare il possibile per stare accanto alla famiglia. Nei momenti in cui loro sono fuori, attraversa a piedi tutta Teheran per andare a cacciare nei boschi della periferia. Un giorno, di ritorno da una di queste battute di caccia, Ali torna a casa e non trova più né la moglie né la figlia. Quando si rivolge alle autorità per denunciare la scomparsa, viene a sapere di un brutale incidente avvenuto fra la polizia e alcuni manifestanti. Shekarchi comincia e nasce da un'immagine, da una celebre fotografia scattata nel giorno del primo anniversario della fine della Rivoluzione iraniana. I titoli di testa passano su di uno sfondo indiscernibile, che solo il movimento dell'inquadratura finale ci rivela come il dettaglio di un ritratto dei pasdaran khomeiniani che calpestano a bordo di motociclette una gigantesca bandiera degli Stati Uniti.
Le implicazioni politiche della storia vengono già quindi predisposte in apertura, ma il procedimento con cui vengono affrontate non è né diretto, né metaforico. Come per la fotografia iniziale, Rafi Pitts cerca di cogliere il momento politico da dei particolari, dei dettagli, che solo una volta colti nel loro insieme danno un'immagine della società iraniana odierna. Che sia per scelta formale o per non incorrere in problemi con la censura, Pitts parte così da una storia di ordinaria follia disseminata di alcuni elementi disorientanti che cercano di rendere un contesto generale. Il suo cacciatore è un outsider in cerca di stabilità che si improvvisa cecchino dopo aver perso moglie e figlia e non aver trovato ascolto da parte delle forze dell'ordine. Ma la tragedia apparentemente endogena di Ali è in realtà il riflesso di un visibile fermento popolare che preme al di sotto degli organi di potere.