Evidentemente ambientato in Italia, In The Market è uno di quei film senza una locazione geografica precisa: insegne in inglese, speaker radiofonici che parlano in spagnolo, personaggi con nomi anglofoni, baffuti benzinai che divorano hamburger, chiromanti, abbigliamenti incongrui. L'aretino Lorenzo Lombardi ama il road movie, i dialoghi "brillanti" da b-movie, le distese assolate e i posti aperti dal tramonto all'alba, insegue insomma un sogno cinematografico tutto americano - anche nella grammatica filmica - con budget ristretto e la smaccata voglia di citare i suoi registi preferiti. Primo fra tutti il Quentin Tarantino on the road di A prova di morte (che passa in una televisione della stazione di servizio), poi citato anche nel pezzo forte Little Green Bag dalla colonna sonora di Le iene mescolata alle canzoni scritte appositamente dai GTO per la pellicola, negli scambi di battute stralunate e nelle sentenze bibliche con tanto di indicazione del versetto (all'Ezechiele di Pulp Fiction si sostituisce un Isaia).
Alla prima parte più scanzonata segue una seconda che dovrebbe spingere il racconto verso il torture-porn dell'Hotel di Eli Roth, nominato peraltro dai protagonisti all'inizio, sebbene all'esibizione parossistica del sangue che di quel sottogenere costituisce il nocciolo il regista preferisca montare una scalcinata serie di futilità dialogiche tra un macellaio "con una laurea in Antropologia buttata e un discreto pallino per internet" e la vittima David. All'impostazione traballante, si aggiunge, peggiorando di molto le cose, la latitante direzione di un cast tutto italiano impegnato in dialoghi e situazioni che avrebbero richiesto ben altra credibilità. Soprattutto per questo motivo, è meglio considerare In the Market una prova generale per il prossimo passo di Lombardi che come un prodotto finito e da distribuire nelle sale.