C'è sempre una tecnologia che "rappresenta" a fare da snodo letale o da tramite in grado di veicolare l'istinto di morte, questa volta è internet (che a sua volta poi contiene il video) e in particolare la chat, cioè la possibilità di dialogare con sconosciuti. Uno strumento che, sembra affermare Nakata, per sua natura facilita la mistificazione e attira i disadattati. Seguendo infatti uno stereotipo molto in voga al cinema come sui giornali, i personaggi di Chatroom non trascorrono un po' di tempo in rete ma ore e giornate intere, aliendandosi dalla vita vera e inseguendo false chimere.
Lontano dalle atmosfere horror e vicino (ma solo nelle intenzioni) a quelle thriller Nakata cerca di creare un universo visivo che possa portare al cinema il cunicolo di commenti, messaggi e comunicazioni istantanee della rete. Quando i protagonisti parlano tra di loro attraverso i computer il regista ce li mostra più belli, immersi in uno spazio colorato, patinato e tanto felice quanto fasullo che contrasta apertamente con il grigiore dei colori desaturati della loro vita normale. La chat è appetibile, come il demonio, a cui più volte viene accostato visivamente il maniacale protagonista, ma il mondo reale è la realtà con cui fare i conti.
Anche passando sopra alle banali semplificazioni e alla poca plausibilità della trama, Chatroom rimane un film di genere senza mordente e senza emozioni che, volendo scardinare le sicurezze che abbiamo nei confronti dei nuovi media, finisce per cavalcare il pregiudizio e il passatismo.