In una grande multisala di Detroit, un improvviso black out fa misteriosamente sparire nel nulla tutti gli spettatori, lasciando solo residui di pop corn e vestiti accasciati sulle poltrone. Lo stesso avviene in un ospedale della città, dove sono scomparsi tutti i pazienti e i dottori, ad eccezione di una fisioterapista e di un uomo abbandonato sotto i ferri di un'operazione chirurgica. Il mattino seguente, al suo risveglio, il reporter televisivo Luke Ryder si accorge che non c'è più corrente elettrica e che l'intera popolazione è scomparsa. Muovendosi in una città fantasma dominata dal silenzio e dalle tenebre, Luke capisce che la sola speranza di salvezza è data dalle poche fonti di luce rimaste.
Non può essere un caso il fatto che un thriller incentrato sulla dualità luce/buio cominci all'interno di un cinema e, in modo particolare, seguendo il punto di vista di un proiezionista, custode di quel fascio di luce che si riverbera sullo schermo dando origine al film. Non può essere un caso, se consideriamo che Vanishing si costruisce come una costellazione di suggestioni visive e tematiche maturate da quell'enciclopedia paranoide fatta di film di fantascienza con al centro apocalissi irreversibili e fenomeni inspiegabili, mondi paralleli e invasioni di ultra (non)corpi.
Tutto comincia con un blackout improvviso. L’umanità scompare. I pochi superstiti che si risvegliano erano vicini a generatori autonomi. Quattro di loro si rifugiano in un bar pieno di luci, ma il buio li assedia e il loro tempo è contato…