Dopo il funerale di un celebre scrittore i suoi figli pernottano con un'amica presso un casolare sperduto nei boschi dove trovano un taccuino su cui lo scrittore ha descritto un delitto da lui commesso. Un ragazzo riceve messaggi via Internet da un amico che si è appena suicidato. Una medium ciarlatana deve fare i conti che le anime dei morti che ha finto di evocare. Un bambino muto e cardiopatico viene additato come mostro dal suo paese. Infine tre ragazze, tornando a casa in macchina di notte brille e impasticcate, investono qualcosa per strada e non si fermano a prestare soccorso, dando origine ad una careficina.
Cinque storie dell'orrore (più un prologo e un epilogo firmato dal produttore del film, Gabriele Albanesi, che ha curato l'intero progetto e cofirmato i soggetti di due degli episodi) girate da un gruppetto di registi nati fra l'81 e l'83: ce n'è abbastanza per incuriosire chi spera che il cinema italiano si riappropri della propria tradizione di genere. Il risultato è misto: da un lato tutti i giovani registi mostrano coraggio e talento dietro la cinepresa, e una particolare abilità per la composizione scenica nell'episodio di Roberto Palma e per l'uso della luce in quello di Stefano Prolli. Dall'altro le sceneggiature mostrano tutta la loro inesperienza e la fatica nel costruire una struttura narrativa convincente.