Jacob vive da molti anni in India, dove ha iniziato e abbandonato diversi progetti di volontariato, è stato lasciato dalla donna che amava e ha disperatamente tentato di sfuggire alla sua condizione di alcolizzato e dimenticarsi della sua anima perduta. Costretto a tornare in patria per ottenere una cospicua donazione che gli permetta di continuare a occuparsi dell'orfanotrofio dove si è ritagliato il ruolo di buon samaritano, Jacob ritroverà un pezzo del suo passato che inevitabilmente gli cambierà la vita.
Dismessi i panni di prete anticonvenzionale alle prese con una parrocchia di pecore smarrite (Le mele di Adamo) Mads Mikkelsen torna sul grande schermo con un personaggio più profondo e "tridimensionale" ma anche meno ironico di come ce lo ricordavamo. È di nuovo Anders Thomas Jensen a delineare le caratteristiche del protagonista - limitandosi però a scrivere la sceneggiatura insieme a Susanne Bier - rinnovando così la collaborazione avviata con Open Hearts. Di quel Le mele di Adamo di cui Jensen era regista, Dopo il matrimonio possiede qualche tonalità appena accennata (quasi fosse frutto di un puzzle stravolto), spennellata attraverso una storia drammatica e paradossale. A inscenare questo carosello di emozioni e vicissitudini, seguito quasi sempre dalla camera a mano - per avvicinarsi alle personalità degli interpreti e divenire una sorta di specchio dell'anima attraverso riprese in stile simil-dogma - alcuni tra gli attori più convincenti della Scandinavia: lo svedese Rolf Lassgård nella parte di Jørgen, il ricco investitore, e la danese Sidse Babett Knudsen in quella della moglie Helene, oltre al già citato Mikkelsen. Nulla è lasciato al caso, anche le immagini delle foglie mangiate e dell'animale morto lungo la strada rappresentano un punto focale del film; il risvolto della trama è forse presentato in maniera semplicistica, e non giunge inaspettato, ma la Bier è capace di emozionare e commuovere, e evitare, per un pelo, un finale banale.