Will (Jude Law) e Sandy (Martin Freeman), amici e architetti, trasferiscono il loro studio nella zona di King's Cross a Londra. Proprio nei primi giorni, subiscono ripetuti furti a opera di una coppia di giovani ladruncoli. La piccola criminalità sarà il pretesto per un viaggio nella realtà multietnica della città, e dell'influenza che ha sulle relazioni sociali, sulla famiglia, sull'amore.
C'è qualcosa di stucchevole nel cinema di Anthony Minghella. Difficile dire se sia l'espressione sul filo del pubblicitario, l'attrazione per il bello (siano essi luoghi o persone), o i sentimentalismi old style. In questa Londra, che è anche la città in cui vive, di certo la sua forma stilistica si trova perfettamente a proprio agio. Le case popolari, infatti, non si allontanano molto dalle perfezioni geometriche dei loft, cambia solo l'interpretazione degli interni, caotici o minimalisti, sempre comunque fotografati con perfezione estetica. In un mondo siffatto, i personaggi sono estremamente caratterizzati. Jude Law, è dandy e trasandato, insicuro ricercatore delle emozioni perdute; Robin Wright Penn, ha origini nordiche che si sciolgono solo di fronte alla figlia tredicenne; Juliette Binoche, è una donna slava, espressione di un passato di sofferenza e guerra. Tutti si muovono a King's Cross fra assenza di responsabilità e paura di amare, schiavi della routine o delle condizioni, alla ricerca di passioni dimenticate, più che di sentimenti veri. L'essenza delle relazioni per Minghella è ancora nella pura forma. Gli interpreti si comportano di conseguenza e, superando le classi sociali, la bellezza trionfa, in ricchezza e in povertà (Juliette Binoche, di madre lingua francese, è poco credibile nel recitare in inglese con accento bosniaco). Sotto questa patina, l'unica profondità che se ne trae è l'amara solitudine, onnipresente, di una società complessa alla perenne ricerca di amori irresponsabili.