Una vecchia fabbrica abbandonata in una zona isolata. Cinque uomini si ritrovano lì dentro in condizioni diverse. C'è chi è legato mani e piedi, chi è appeso a una sbarra con le manette e penzola nel vuoto, c'è chi ha il naso rotto e chi è solo leggermente ferito. Un altro elemento (oltre al trovarsi rinchiusi senza possibilità di uscire) li accomuna: nessuno di loro ricorda più nulla né della propria identità né del perché si trovi in quel luogo. Progressivamente qualche particolare si fa largo nella memoria: si è trattato di un tentativo di sequestro. Ma quali tra loro sono le vittime e quali i sequestratori?
I film che hanno come spunto iniziale il mettere insieme degli sconosciuti (o che tali si ritengono) in uno spazio che li costringe a convivere e a creare alleanze e rivalità non sono pochi. Alla memoria vengono in mente immediatamente Saw, The Cube e (perché no anche se con altri sviluppi?) Lost. Lo script di Matthew Wynee dimostra che lo sceneggiatore ne è cosciente così come il film (che porta sullo schermo un cast di tutto rispetto) di Brand è scevro dei vezzi di ripresa che chi proviene come lui dalla pubblicità porta con sé.
Qui siamo lontani dalle aberrazioni di Saw e, semmai, la fonte di ispirazione sembrano essere più Le iene di tarantiniana memoria. La prima parte è in grado di costruire con abilità e con scavo psicologico la tensione che percorre la mente di ogni personaggio e quella dello spettatore perché qui, rispetto ai primi due film citati, il Male non è all'esterno ma si trova al fianco di ognuno di loro. Il problema sta semmai nell'aggiunta delle situazioni esterne (la polizia in azione) che finiscono con il far calare la tensione che sarebbe stata molto maggiore se si fosse rimasti all'interno della fabbrica avvalendosi solo dei frammenti di memoria di ognuno.