Lo stile di ripresa e montaggio accentuano il senso di angoscia claustrofobica e asfissiante provata da un protagonista che, tornato libero, si rende conto di essere ancora prigioniero, solo in una stanza più grande. La sua fuga di uomo braccato, spiato e controllato non può che esplodere in una memorabile rissa in piano sequenza, in cui Dae-su affronta da solo, a calci, pugni e martellate, un fitto branco di aggressori. Ma l'incubo non è finito, i colpi di scena sono dietro l'angolo e mozzano il fiato. L'unica concessione al colore, e alla vita, è quel rosso finale nel bianco della neve, simbolo di speranza e forse anche di riscatto, ma non di una nuova purezza, impossibile da raggiungere nel mondo sporco di Chan-wook Park. Autore di un cinema che si conficca nella pelle e nell'anima dei suoi protagonisti, come dei suoi spettatori.